Notte senza fine, (Elisabetta Sgarbi, 2003)
Quattro monologhi, cioè tre monologhi di cui uno diviso in tre parti, dedicati ai temi del sottotitolo – amore tradimento incesto, interpretati da Galatea Ranzi, Toni Servillo, Laura Morante (sì, quella ex attrice che ora urla da mane a sera). Anna Bonaiuto. I testi (inediti) sono di Amin Maalouf, Tahar Ben Jelloun e Hanif Kureishi.
Il film consiste nella ripresa praticamente in continuità e praticamente senza movimenti di macchina dei monologhi recitati dagli attori, inseriti in ambienti tratteggiati in modo a dire poco essenziale: un fascio di luce, una colonna, una tenda. Un solo personaggio in scena, sguardo quasi in macchina. Il titolo allude forse a Le mille e una notte, ma a me piace pensare a Notte senza fine di Raoul Walsh (Pursued in originale), western che aveva molto a che fare con l’amore, l’incesto e il tradimento.
Ora, di questo film uno può dire quello che vuole: che è noioso, che è melenso, che è girato con un bel trent’anni di ritardo, che è intellettualistico. Si può anche dire che i monologhi sfiorano il ridicolo, se proprio uno pensa che si possa parlare di amore (tradimento, incesto) in modo svagatamente cool.
Quello che non si può dire è che questo NON è un film. Elisabetta Sgarbi lavora come pochi (direi nessuno) nel cinema italiano degli ultimi anni sulla costruzione del fuoricampo, dello spazio a cui le parole e le immagini in quadro alludono e rimandano, creando una tensione fortissima tra ciò che si vede e ciò che si racconta, tra la rappresentazione dell’amore e la sua realtà. La Sgarbi, insomma, ha una dote che pochi (mi sembra nessuno) ha nel cinema italiano recente: il pudore, ecco perché pur non essendo una regista dà l’impressione di sapere sempre che quello che davvero conta non si può vedere.
Detto questo, il film non è del tutto riuscito. Ma non lo è perché, nonostante l’impianto rigoroso fino alla scarnificazione, cede a un simbolismo un po’ banale nei momenti di stacco e di interpunzione. Il viso coperto da un velo mentre si sussurra un segreto, la luce che va e viene, la mezzaluna che passa in cielo per marcare lo scorrere del tempo: sembrano accorgimenti un po’ deboli per sostenere un progetto così ambizioso. Peccato, perché con una sintassi visiva meno scontata e meno (guarda un po’) cinematografica, chissà come sarebbe stato questo film.
p.
4 Comments
D’accordo, caro p. Agggiungerei ai difetti un primo testo davvero brutto, un poco scontato, sull’amore si trova di meglio.
E appunto, una sorta di mancanza di coraggio nel portare fino in fondo il proprio, anche interessante, discorso, appunto ricorrendo a una sintassi visiva e cinematografica che tende un po’ troppo all’allegorico, come per dare degli appigli nel buio dello schermo.
m.
ogni volta mi stupisco di come p. riesca ad andare controcorrente. mi chiedo se lo faccia apposta e se gli viene naturale. per catturare questo segreto crtitico-valutativo di p. bisognerebbe spedirlo sull’isola dei famosi o nella casa del grande fratello per tre-quattro mesi poi all’improvviso catapultarlo nella sala in cui proiettano il film della sgarbi. se il giudizio rimanesse identico chiameremo sicuramente gli infermieri.
con stima e amore (e con carmelo bene che si rivolta nella tomba)
DT
non credo che carmelo bene prenderebbe in considerazione questo film
caro DT, nonostante la graffiante prosa, dal tuo intervento non riesco a cogliere i motivi per cui sei in disaccordo con quanto ho scritto, a parte il fatto che mi vorresti come risposta damsiana a dj francesco.
con rinnovata e ricambiata stima,
p.