QUO VADIS, BABY? di Gabriele Salvatores, Italia, 2005
 
Innanzitutto due rischi che correva il film. Il primo è la ricaduta nel genere “film ambientato a Bologna”. Bologna è uno dei pochi luoghi del paesaggio italiano che, in un film, riesce a dettare la struttura dell’azione e l’appartenenza a un genere. Come accade nell’ambientare un film a El Paso, per cui è impossibile non mettere in scena una rapina in banca, allo stesso modo girare un film a Bologna significa quasi obbligatoriamente girare un nuovo episodio di Via Zanardi trentatre, in cui i personaggi fanno i pazzi e i drogati e gli universitari (damsiani, in genere). Con qualche scivolone, lo stereotipo più becero viene evitato.
L’altro rischio è la messa in scena di una trama “gialla”, che può ricadere spesso nella “maledizione della signora in giallo”, testo seminale per la produzione di fiction nostrane con il morto (da Don Matteo al più rispettabile Montalbano, per rimanere alle produzioni più recenti.
Riassumendo, il rischio è di ricadere semplicemente nel “televisivo”, qualsiasi cosa voglia dire. E perlomeno ciò è evitato. Intendiamoci, non è che le strategie siano delle più originali e efficaci. La prima è quella della “cultura come orpello”. Io non parlerei nemmeno, non più di cinefilia, perché le locandine che si vedono e le citazioni nei dialoghi fanno riferimento a film che, nella percezione del lettore di “Repubblica” (testata che ormai porta avanti l’equazione cinema come mezzo di comunicazione/spettacolo che quando esula un pochetto diventa oggetto di analisi di altri specialisti, socio-psicologi e filosofi), ormai sono entrati nel Pantheon dell’alta cultura. Quindi, è come se i riferimenti alti annullassero qualsiasi apparizione della connotazione basso (=televisivo). Fastidioso sì, ma perlomeno giustificato dalla narrazione: se due personaggi sono un’aspirante attrice via video e un prof. Aspirante regista/artista stereotipo, i dialoghi possono essere proprio così.
L’altra strategia è quella di ricorrere a una ricercatezza stilistica maggiore (riprese in digitale, inserti video e simil superotto e altre cose) rispetto al canonico televisivo. Nulla di nuovo per carità, e nulla che giustifichi le digressioni metacinematografiche che appaiono talvolta, ma anche qui, si riesce a cavarsela senza infamia e senza lode.
La narrazione regge, la cupezza tiene, il personaggio femminile è imperfetto ma centrato e centrale, per una volta tanto nel cinema italiano, anche se la Baraldi sembra troppoconvinta perdendosi in battute ben recitate e scandite quando a volte si richiederebbero due dita in meno di teatralità.
Alla fine, una calibrata ricostruzione di atmosfere anni ottanta, anche se il film è ambientato oggi: insomma nulla di nuovo, qualcosa di datato, ma Salvatores sembra tornato ad una dimensione della narrazione media quanto si vuole ma convincente.
 

manu

19 Comments

  1. anonimo
    Posted 2 giugno 2005 at 16:19 | Permalink | Rispondi

    e la guida galattica per autostoppisti?

  2. Posted 4 giugno 2005 at 17:04 | Permalink | Rispondi

    senza infamia senza lode, ecco.

    e la guida galattica per autostoppisti?

  3. anonimo
    Posted 4 giugno 2005 at 20:30 | Permalink | Rispondi

    E sin city?
    lonchaney

  4. anonimo
    Posted 4 giugno 2005 at 23:18 | Permalink | Rispondi

    Io pure voglio Sin City…

    338.5

  5. anonimo
    Posted 5 giugno 2005 at 16:20 | Permalink | Rispondi

    voglio un post su sin city! voglio un post su sin city! voglio un post su sin city! voglio un post su sin city! voglio un post su sin city!

    vi ho fatto venire l’ansia da prestazione?

    voglio un post su sin city!
    Elena

  6. anonimo
    Posted 5 giugno 2005 at 18:16 | Permalink | Rispondi

    Vado stasera.Ci si tenta per martedì.
    Fmc

  7. Posted 6 giugno 2005 at 18:55 | Permalink | Rispondi

    Le inquadrature danno sempre l’impressione di essere state freddamente e con calcolo studiate a tavolino. Ogni singola scena è cinematograficamente bella ma nell’insieme il tutto sa troppo di costruito e di operazione intellettualoide. La mia impressione è che Salvatores non abbia creduto molto nella trama e che quindi l’abbia usata come pretesto per una esercitazione stilistica che lascia il tempo che trova.

  8. Posted 6 giugno 2005 at 19:34 | Permalink | Rispondi

    sono d’accordo con te, leo. ho trovato il film debole e didascalico sotto ogni punto di vista. credo che salvatores non abbia voluto fare alcunché di “medio”, ma che, anzi, abbia puntato piuttosto in alto, anche soltanto limitandoci alla trita e ritrita dimensione metacinematografica che lo attraversa. manazza pesante, pesantissima.

    fra

  9. anonimo
    Posted 7 giugno 2005 at 08:39 | Permalink | Rispondi

    E’ un film DA denuncia (non di denuncia)… davvero terribile.

    Ingrid Superstar

  10. anonimo
    Posted 7 giugno 2005 at 08:51 | Permalink | Rispondi

    …però mille di questi salvatores piuttosto che uno di questi giordana…

    illuca

  11. Posted 7 giugno 2005 at 13:08 | Permalink | Rispondi

    no, davvero che sul blog di seconda visione si salvi salvatores che bocheggia e tracheggia, è sorprendente.
    manu che succede? dove sta il tuo afflato vendicativo con tanto di regole dogmatiche per superare le secche di questa melassa senza capo ne coda che potevano girare in bulgaria come a luino?
    scusa ma per ricercatezza stilistica basta smanettare (l’unica cosa che sa fare salvatores da nirvana in avanti compresi i plongé sui campi di grano di lucana memoria) con ciò che la tecnologia offre e che si ha in casa sul desktop del pc? vi ricordo che è lo stesso reato di cui si è accusato peppuccio tornatore…
    è proprio nella medietà direi culturale, cioè del bagaglio di informazioni tecniche apprese senza pensare a ciò che vogliono dire, che la narrazione media di salv. fa naufragare un film che proprio nella medietà della costruzione di genere (un giallo vibrante come un muro di mattoni) affoga.
    suppongo che i riferimenti ‘alti’ siano banalmente tali, perchè salv. non va al cinema da 15 anni (giordana da 25 sia chiaro) e non avendo visto altro racconta sempre le stesse battute, le stesse leggende metropolitane su truffaut, lang, kurosawa, fellini… basta, davvero, basta, questi sono residuati di intellettuali di sinistra vecchi, bolsi e senz’anima che facevano i filmini negli anni ’80. mettiamoci una pietra sopra e mandiamo a lavorare salvatores in fonderia. dopo due o tre mesi potrebbe uscirne con un film neorealista dove gigio alberti fa l’operaio quarantenne che tifa per l’inter, sfigato con le donne e che farfuglia come l’extracomunitario di zanzibar.
    una delle più brutte cose viste nel 2005

    saluti
    DT

  12. anonimo
    Posted 7 giugno 2005 at 16:44 | Permalink | Rispondi

    stendinovescion per il Turro. Che tra l’altro a me, se c’è uno che mi fa ridere… Manu ricrediti.
    Fmc

  13. Posted 7 giugno 2005 at 17:28 | Permalink | Rispondi

    (Adoro le battaglie in cui credo poco io per primo)
    Non ho bisogno di ricredermi perché Salvatores non merita alcuna battaglia a favore, come forse non ne merita alcuna battaglia contro.
    Perché non ne vale la pena. E sono profondamente convinto che la fonderia sia un buon metodo, anche se Salvatores dovrebbe stare in nutrita, quanto pessima compagnia.
    Notavo solo che in questo film si evitano le cacche più grosse che si potevano pestare, e che comunque il film, nella sua medietà funziona. Come funziona Montalbeno, si potrebbe ribattere. Si, ma funziona, e non cade nel televisivo. Due piccoli pregi, sempre medi, ma pregi.
    Che Salvatores sbrachi sbraitando ai quattro venti “sto facendo qualcosa di fighissimo”, questo a me non importa. Anche perché nel film questa intenzione autoriale non traspare spocchiosamente.
    Per quanto riguarda il dogma italico, la regola sulle citazioni culturalmente elevanti per misteriosa osmosi non viene infranta. Perché, dispiace a dirsi, sono narrativamente giustificate. Non benissimo, ma sono giustificate.
    Mi sembra che per te (DT) il film affoghi nella medietà, per me invece si salva nella medietà.
    Vogliamo essere vendicativi, bene: l’esistente del cinema italiano è questo, bisogna rassegnarsi. Consiste in una serie di film fatti da intellettualini di sinistra con una consapevolezza politica che non va oltre la terza liceo, con una capacità stilistica assolutamente scevra da qualsiasi senso, con una conoscenza cinematografica e metacinematografica da riassunti del Bordwell-Thompson passati sottobanco, che fanno film infarciti da tali buone intenzioni che Suor Germana si vergognerebbe.
    Nell’esistente Salvatores non sfigura proprio perché nessuno si sognerebbe mai di considerarlo un capolavoro, o un film innovativo, e non vuole che qualcuno lo faccia.
    La modestia, dell’opera, non dell’autore (con tutte le virgolette del caso), va salvata.
    Per Francesco: secondo me il metacinema è un’altra roba, bisogna uscire tutti – registi in primis – da questo equivoco. Questa è metacultura della pagina culturale di Repubblica, come se a un certo punto uno dei personaggi si mettesse a citare Giddens o, al peggio, Tahar Ben Jelloun. Il punto è che il film è coerente, mette in scena un mondo, dei personaggi, e le parole che li animano. Un’aspirante attrice sedotta da un sedicente intellettuale non lascerebbe in un video messaggio frasi come “Ah, quando facciamo l’amore citiamo le parole di Ultimo Tango a Parigi”. Lo sappiamo che è così: ma da salvare il fatto che Salvatores non sia indulgente nei confronti di questi personaggi, e non gli metta in bocca le proprie parole – il famoso Messaggio dell’Autore che passa in sovraimpressione.

    manu

  14. Posted 8 giugno 2005 at 18:25 | Permalink | Rispondi

    manu, il metacinema raffinatamente inteso (come dovrebbe essere) è altra cosa. mediamente (o mediocremente), il metacinema per salvatores è questo, su.
    e ammettiamo pure che sia metaculturadirepubblica: perché farlo?
    parliamo adesso della coerenza. ammettiamo un universo coerente, in cui le donne sole sono durematenere, congatto, pugilatrici. e tutti si chiamino a-qualcosa. un universo del genere va (scusa il bisticcio) portato veramente suun genere. per la serie: hai un universo noir, fa’ un noir. ma qui non c’è traccia di genere. è un film piatto, che si dimentica appena si spengono le luci.
    (attacco con tre dadi, come vedi. come al solito, caro manu, la mia capacità tattica è una merda.)

  15. anonimo
    Posted 9 giugno 2005 at 12:49 | Permalink | Rispondi

    chiariamo, che poi sembra che non studi. Ogni discorso è, in parte, autoriflessivo. Quindi anche quello di Salvatores lo è, e lui (in persona) vorrebbe che lo fosse. Ma questi significati emergono solo, sensatamente, nel finale. E’ solo lì che il discorso metacinematografico emerge con chiarezza e con una certa autonomia e ,anche precisione, se si vuole Anche se non dice nulla di nuovo. Ma nel resto del film, l’ostentazione delle locandine, i discorsi sulla percezione, i “non sono mai andata al cinema” non raggiungono mai la posizione di dominante. Da un lato è causato dalla sciatteria del tutto, va bene, ma dal’altro si adatta bene al tono generale del film. non si eleva a metacinema ma rimane chiacchericcio, messo in bocca a personaggi che possono benissimo dire queste cose. Insomma è coerente e non ci vedo spocchia, forse perché non ho letto interviste a Salvatores. Anche in questo è medio, in senso buono.
    Seonda obiezione: scusa Fra ma ti contraddici. prima dici che l’universo del racconto in cui tutti si chiamano A. viene proiettato su un genere, e poi che questo genere non c’è. Per me il discorso del genere è fuorviante: si può parlare di noir solo in correlazione al romanzo, che è un noir. Ma pensare che l’appartenenza di genere si conservi nel passaggio mi sembra quantomeno problematico. Ci sono delle tracce di genere, “giallo” forse, ma che non determinano mai l’appartenenza a un genere. Per questo il discorso sul genere non mi sembra pertinente.
    manu

  16. Posted 10 giugno 2005 at 10:16 | Permalink | Rispondi

    io invece vorrei aggiungere un’eresia per studiosi e accademici.
    Bisognerebbe reputare utili culturalmente e costitutivamente le caratteristiche peculiari di un ‘genere’ senza renderle essenze paradigmatiche assolute per giudicare la presunta qualità di un film. Prendiamom pure il noir. Detour e La donna del ritratto sono due capolavori a detta di tutti coloro che frequentano il genere. Per il sottoscritto il primo abbonda di stereotipizzazioni, di artigianalità che smette di essere pregio quando si capisce che un piano sequenza è scelto solo per tirare a campare. Legittimo, ma non per questo di grande levatura stilistica. Mi spiace dire questa banalità, ma per Ulmer manca lo sguardo, il punto di vista o almeno io non lo riconosco.
    La distinzione tra generi fa parte di una necessità strutturale e commerciale di un sistema (hollywoodiano). Se i generi si moltiplicano, si moltiplicano le loro imitazioni e parodizzazioni, fino ad arrivare ad un punto morto dove “l’arte dell’invenzione in condizioni di ristrettezza economica” diventa, ahimé, pregio. Ma ricreare in vitro la formula (credo che il dottor locane suggerisca questo) non significa necessariamente profondità di sguardo, precisazione di un punto di vista, o no?Vale o no l’impronta personale al genere? se qualcuno dicesse “che nella sua essenza il noir è langhiano”, per es, chi avanza obiezioni?
    vogliamo sostenere definitivamente che dire “è un film di genere” non può salvare l’incapacità di un cineasta, vedi salavtores, di fare propri stilemi e caratteristiche del ‘genere’? possiamo dire che il ‘genere’ è semplicemente una categoria, quasi idealtipica per raggruppare elementi tecnici e narrativi ma non sufficiente per stilare classifiche qualitative o rilevare l’apporto filosofico/intellettuale/culturale di chi l’ha fatto?

    aggiungo che la citazione in quovb diventa addirittura blocco di cementeo armato: pensate ai quei sette otto minuti di M….

    DT

  17. anonimo
    Posted 10 giugno 2005 at 11:34 | Permalink | Rispondi

    Risposte a DT in ordine sparso:
    1) Non credo che QuoVB sia un film di genere, o che non sia un noir. Per questo leggevo la contestazione di Fra come non pertinente. Non si può rimproverare a qualcosa/qualcuno quello che non è.
    2) La confusione è dovuta ad una moda culturale, eminentemente “libresca”, che si è diffusa da qualche anno nel nostro paese: quella del noir. Forse sono i cascami dell’infatuazione per un pulp infantile, forse un clima culturale, forse perché i gusti dei capoccia delle case editrici sono cambiati, ma questa moda si è diffusa e tutti pubblicano e leggono noir, da Ellroy (meno) a Faletti (tanti), alla Verasani. Che poi siano davvero noir c’è da discutere. Tutto ciò per dire che QVB è noir solo per traslazione di categoria. Se nel sistema dell’editoria comunque c’è un sistema che riconosce il noir come pertinente (gli scrittori, il pubblico, i produttori), nel cinema italiano non c’è, perlomeno da trent’anni.
    3) Il genere ha, oltre ad elementi tecnici e narrativi, anche un portato metafisico- etico. Meglio, descrive delle assiologie, cioè delle valutazioni di modi di esistenza. La butto lì, il noir è fatalista e pessimista (chiedo perdono per questo esempio). Appoggiarsi ad un genere diventa mutuarne significati profondi per delega: tutt’altra questione è renderli coerenti, efficaci, mutarli di segno ecc. Il genere raggruppa ma non valuta, anche se che poi si possano fare valutazioni all’interno di un genere o al di fuori, paragonati con altri generi.
    4) Per tornare a QVB, il richiamo al genere non sussiste, le citazioni di genere non risuonano, ma il film funziona come trama di detection e introspezione dei personaggi

  18. Posted 11 giugno 2005 at 12:43 | Permalink | Rispondi

    manu, non mi contraddico per niente. a meno che tu non abbia preso un uso del modo indicativo come assolutamente rigido.
    in tal caso, mein akkademiken, leggi “un universo del genere andrebbe (scusa il bisticcio) portato veramente su un genere. per la serie: hai un universo noir, fa’ un noir. ma qui non c’è traccia di genere.”
    secondo me ha senso parlare di genere.
    ci vediamo alle sei. ho scelto io le armi. ti è toccato un guantone da boxe.

  19. Posted 23 giugno 2005 at 02:01 | Permalink | Rispondi

    chiedo perdono (anche a donne ed elefanti) se ho postato lo sfogo di omar all’uscita dal film sul sito:
    raro.splinder.com

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