La prima cosa bella, Paolo Virzì, 2010

Parentesi uno: perplessità generale

Perché ambientare tutti i film negli anni 60 70 o 80? Soprattutto 70?

Mi convinco a volte che il cinema italiano sia dominato da una malvagia lobby di scenografi e costumisti.

“Si, questa storia la potremmo ambientare al giorno d’oggi, ma vuoi mettere vedere Scamarcio con i pantaloni a zampa di elefante? Facciamo il botto!”

“Guarda, per il film dell’anno scorso abbiamo comprato 500 cubi di rubik e 45 Tv Brionvega arancioni, che facciamo? Li buttiamo?”

“Chiudi gli occhi e immagina: Carolina Crescentini con la permanente e una giacca con le spalline. È già un’icona!” “

“Abbiamo tutti i giornalisti pronti al dibattito su “Gli anni 80: un’eredità positiva o negativa?”. Sai, per quella roba di aggredire la realtà, eh?”

“Devo fare un favore a quella del negozio vintage. Si, la parente di quello là. Le ho promesso che le compravamo 370 cravatte optical e 200 completi Facis. Che facciamo? O mettiamo in piedi  quel film su quel giovane che attraversa inconsapevole il post boom e gli anni di piombo o siamo nei casini”

Parentesi due nota personale

Virzì è la mia debolezza. Mi piacciono tutti i suoi film, e non poco, tanto. Forse con l’eccezione di Io e Napoleone. Forse non tutti allo stesso modo. Però mi piacciono.

La causa prima di questa affezione forse risiede in Ovosodo, anche se avevo già visto Ferie d’Agosto. Però sapete, avevo l’età giusta, e il ricordo del mio appello in prima liceo era vivido e nel film c’era la stessa identica scena. E allora ho cominciato a pensare che quel film parlasse di me. Ma credo che ci siano anche altre ragioni, oltre a quelle ombelicali, che abbandono subito facendovene grazia.

In generale

Credo che Virzì sia il cantore, nostalgico e amaro, della sconfitta del progresso, inteso come progresso individuale, e in questo mondo riesca a mostrare l’assurdità del mondo di oggi. Si tratta di progresso piccolo borghese, che nulla ha a che fare con la rivoluzione o con la voglia di cambiare questo paese in toto, o il mondo. Uso il termine progresso, e non quello di realizzazione di sé o di successo personale, per tenere ben presente il fatto che per Virzì l’individuo si specchia nella società che lo circonda, sempre.

Un progresso quindi in piccolo, un sogno di essere normali, e l’errore risiede appunto nel pensare che pretendendo poco, almeno quel poco possa essere garantito.

Non ho disturbato, ho chiesto solo una roba, piccola, ma perché non me la dai. L’errore fondamentale è quello di credere l’umiltà un passepartout per vivere nel mondo.

Insomma, tanto più il sogno è piccolo, tanto più il sogno dovrebbe essere realizzabile, e di conseguenza tanto più il dolore è forte, tanto più i sentimenti sono comici e strazianti.

Ma non è quello che è stato sempre raccontato? Studia che troverai un lavoro, fai il bravo che poi verrai ricompensato, fai la scelta giusta e vedrai che ne varrà la pena, impegnati e i tuoi sacrifici verranno ripagati ecc. ecc. Mica solo dai nonni e dai genitori, eh? Anche da Amici e il suo bislacco concetto di talento come professione di fede, o da tonnellate di altri film.

La scelta che i personaggi di Virzì fanno a priori è quindi una scelta relativa al credere. Credere a  un mondo che funzioni, una società in cui questo sistema di do ut des abbia ancora un certo equilibrio, in cui sia effettivamente possibile modificare il proprio destino attraverso l’azione individuale. L’atto individuale deve essere riconosciuto e premiato come tale, per poter essere premiato o punito. ma se questo non funziona più, allora il sistema ideologico del “se ti ci metti con impegno, raggiungi qualsiasi risultato” (cfr. Marty McFly) diventa vuoto. Ma soprattutto le azioni individuali diventano vuote e vane.

Virzì tratta i suoi personaggi sia come credenti, con grande amore, sia come dei creduloni, nel senso che li prende in giro (“avete davvero creduto a questa marea di cazzate?”).

Gente che crede nelle piccole cose: nessuno di questi personaggi crede nella rivoluzione, nessuno gli ha raccontato la rivoluzione, se fossero credenti sarebbero credenti in un dio orrendamente minimal. Ti ho chiesto talmente poco, almeno quel poco dammelo. Una professione di umiltà consapevole ma totalmente inefficace, come se la nostra remissività fosse la garanzia per ottenere qualcosa di più. Sperando che il mondo lo riconosca.

Nell’immaginario ideale progressista si è passati dalla rivoluzione al paese normale, dal comprare una Lamborghini a sperare di avere una Micra che funzioni. E si è creduto che abbassando le pretese queste venissero soddisfatte. Virzì oscilla tra empatia, cavolo queste pretese sono il minimo, devono essere soddisfatte, a presa in giro, credevate davvero che chiedendo di meno tutto vi sarebbe stato garantito?

Virzì commuove ed è efficace perché ritrae i nostro fallimento, un fallimento dovuto al fatto di aver creduto che ci fosse un mondo accettabile là fuori, e che rispondesse a certe regole. Invece il mondo si è spostato, non risponde più a certe regole o forse non ha mai risposto, visto che i rapporti di forza rimangono più o meno sempre i medesimi.

Il rapporto è tra credente e mondo: il comico viene creato nel momento in cui si sposa lo sguardo di un credulone che vede un mondo che non funziona, e lo guarda nelle sue assurdità primarie, il patetico nasce dal fatto che esiste un mondo reale che espelle il credulone senza pietà.

Non si tratta di donchisciottismo, perché non ci sono né giganti né mulini a vento. Non c’è cavalleria, non c’è ideale.

È ironia su Sancho Panza, che si trova il mondo ribaltato. Si tratta di aver preso per realismo l’avere delle pretese minime e razionali, e di trovarsi in un mondo in cui i mulini a vento non fanno più i mulini. Al che, l’effetto non è solo comico, ma anche satirico, ma anche estremamente dolente. Se Don Chisciotte è distaccato dalla realtà, Sancho Panza è immerso in una realtà che non corrisponde più alle sue coordinate.

In particolare

Ammetto che questo film Virzì sposta leggermente il tiro, non solo perché va nel passato. È commovente, molto commovente, ma non crea nessun “ovo sodo che non va su né va giù”. Insomma, commovente ma non “contorcente”. Forse perché è ripiegata sul privato: il quadro complessivo è lo stesso, e probabilmente anche la lettura socio-politica, ma le intenzioni sono altre e puntano in una direzione diversa.

Mastandrea è il figlio che sta male, che voleva un’esistenza normale, che invece è travolto da una madre casinara, soffocante e vitale. Quello in cui credeva la madre non si è realizzato, il figlio non ci ha mai creduto, ma i desideri della madre (il cinema, tenere la famiglia unita ad ogni costo) hanno “rovinato” la vita del figlio, dei figli. Il sogno, irrealizzato ma ancora presente, ancora vitale, e il tentativo di quel sogno che incombe come un incubo sulla vita dei figli.

Penso che però in questo caso leggere il particolare con gli occhi del generale possa essere un errore: perché il gioco di relazione tra individuo e società non è il nucleo del film, ma solamente una sua parte. Come non è una storia di un singolo, ma più che altro la storia di una famiglia. E non è la storia di un’educazione alla maleducazione e alla delusione del mondo, perlomeno non totalmente. È per questo che nella commozione o nel dolore, perché si piagne tanto, ho visto una maggiore spinta vitale, un maggior ottimismo, se si può usare il termine in un film sull’elaborazione del lutto.

Parentesi 3

Presa diretta, questa sconosciuta.

Nell’incipit ai bagni Pancaldi si sente tutto davvero male. Ma non è che si possono dare due soldi in più al fonico? No, perché fai una scena con 50 figuranti, con i dolly e le steady e le luci e poi non si sente nulla? Non è un po’ uno spreco?

Inoltre, sempre sull’audio, io alla fine sono contento che abbiano fatto parlare tutti in livornese, perché dei livornesi che parlano in romanesco potevano essere la sciagura del film. Domanda per i lettori local: il loro livornese toscano secondo voi è accettabile? Per me sì, ma perché non ho l’orecchio a coglierlo

Si riprende e si conclude

Se dividiamo artificialmente il film in presente e passato, potrei dire che la parte del passato è la più convincente, e secondo me la migliore, e la parte del presente la più sorprendente.

Perché l’agonia della madre è forse il territorio più inesplorato per Virzì, e mostra di essere capace anche di fare il melodramma dando chilometri ad altri del panorama registico italiano (ma chilometri). Fa una cosa nuova, la fa bene, bravo bis, ma la parte più interessante è quell’altra.

Cioè quella del passato, in cui fa la cosa che fa di solito, ma in cui si concentrano le cose che si ricordano, su tutte, l’incontro tra Bruno piccolo e il padre di notte al di fuori  dello scantinato del negozio. Forse la sequenza più bella e sorprendente. E, per dire, meno commovente ma più straziante.

È nelle varie fasi dell’educazione che nascono tutti i problemi la “depressione” del Mastandrea adulto, il suo distacco dal mondo e dagli altri. È lì che risiedono tutti i problemi. Nel passato, che poi il presente non può fare altro che prendersene carico e cercare di tirare avanti. Tra lutti, litigi e decisioni inevitabili. E quindi con tanta commozione.

PS

Secondo me gli attori sono tutti molto bravi, ma sono rimasto sorpreso dalla Sandrelli, che ultimamamente sembrava capace solo di interrompere sospensioni dell’incredulità, che invece è davvero convincente e molto brava. Altra sorpresa.

Trailer | IMDB

11 Comments

  1. massimo
    Posted 22 gennaio 2010 at 12:55 | Permalink | Rispondi

    ciao manu, sono massimo aka oldboy. Prima di tutto dobbiamo renderci conto che io e te qua dentro siamo gli unici che adoriamo Virzì “in toto” (con l’esclusione che condivido di “Io e Napoleone”). Io non so che cosa mi sia successo ma di questo film mi sono INNAMORATO, l’ho già visto due volte ed entrambe ho pianto come un bambino.
    Dev’esser vero quel che si dice, cioè che Virzì riesce a creare una rara alchimia fra gli attori sul set. Basta vedere un Mastandrea superlativo (lui che spesso gira un pò a vuoto, qui sembra nel ruolo della sua vita), oppure una Sandrelli ultimamente svilita e patetica qua quasi da Oscar (si fa per dire), o anche una Claudia Pandolfi che non è mai stata una cima ma che qua è magistrale (osservatela nei dettagli di come si muove o di come muove le mani: è stupenda!) e anche Messeri è adorabile sembra un nonno impagabile, ma tutti tutti tutti sono superlativi. E poi io mi sono identificato da morire in Mastandrea, penso di avere molte cose in comune con quel personaggio.
    Due cose ancora. Virzì è l’anti-Ozpetek: laddove Ozpetek racconta un suo mondo interiore riesce a renderlo terribilmente fighetto e soprattutto circoscritto a Roma e a certi quartieri di Roma, non riesce ad essere Universale per niente. Virzì al contrario ci immerge in una Livorno molto “livornese” ma che “tocca” i sentimenti di tutti, isole comprese. E infine, pochi hanno notato le analogie tra l’operazione dell’ultimo Rubini e questo Virzì, con un dettaglio: che “L’uomo nero” col suo evocare i bambini e lo sfondo pugliese nostalgico non mi ha assolutamente nè coinvolto nè commosso. Al contrario Virzì ha realizzato una Livorno anni’70 piena d’emozioni.

  2. Posted 22 gennaio 2010 at 13:32 | Permalink | Rispondi

    Non so bene quali siano i confini del “qua dentro” sottolineato da Massimo ma, scusatemi, mi ci metto dentro volentieri anch’io (e perfino di “N.”, con tutti i suoi difetti, al momento non riesco che a ricordare i pregi, che c’erano).
    Chapeau al pezzo di Manu, condivisibilissimo.

  3. massimo
    Posted 22 gennaio 2010 at 13:57 | Permalink | Rispondi

    per “qua dentro” intendevo riferirimi al fatto che nei confronti di “Tutta la vita davanti” si scatenò da parte dei conduttori di “Seconda visione” una campagna d’odio tale che quando sento il nostro premier condannare le “campagne di odio” mi viene sempre in mente quella circostanza là. Perfino la Papessa (che è uno dei miei Miti) utlizzò parole di fuoco.

  4. Posted 22 gennaio 2010 at 20:14 | Permalink | Rispondi

    sono romano, ma con tanti anni di frequentazioni elbano-livornesi. I suoni emessi dai vari attori/attrici vanno bene. tuttavia sono tutti un po’ troppo “puliti”. DA parte della pandolfi o di mastandrea, o della mamma (giovane o vecchia), non c’e’ mai un “deh”, un “boia”, un “masseigrullo”…tutte frasi che si seguono soggetto-verbo-complemento, grammaticalmente perfette. Pero’ artificiali un po’ artificiali.

  5. Posted 22 gennaio 2010 at 21:57 | Permalink | Rispondi

    Manu, Massimo e Uno Di Passaggio: presente! anche io nel qua dentro. (Non ho ancora visto questo, a sto punto ho una aspettativa elevatissima.)

  6. fedemc
    Posted 23 gennaio 2010 at 10:09 | Permalink | Rispondi

    http://yfrog.com/3mlaprimalj

  7. BabiDec
    Posted 25 gennaio 2010 at 18:31 | Permalink | Rispondi

    tra i tag in basso mancano ‘sosia di Jeff Buckley’, ‘Paolino di Mtv (che senza barba ci perde ‘na cifra)’ e ‘portatevi un vocabolario/amico toscano dietro'(la scena dei ragazetti nello spogliatoio non era hiarissima..). Detto ciò…film semplicemente splendido. Speravo non finisse più. Ho pianto tanto.

  8. api
    Posted 26 gennaio 2010 at 10:59 | Permalink | Rispondi

    Massimo caro vecchio ragazzo,
    ho fatto pace con Virzì.
    Ma alla grande.

  9. Posted 30 gennaio 2010 at 12:01 | Permalink | Rispondi

    concordo sulla Sandrelli – attrice che mai ho digerito – ma che qui mi ha sorpreso.

    mastandrea che parla in simil-toscano, invece, fa venire il latte ai gomiti.

  10. francesca
    Posted 1 febbraio 2010 at 16:27 | Permalink | Rispondi

    Sono pisana, l’accento livornese lo riconosco bene…Nel complesso la parlata degli attori è accettabile -un pò meno quella della pandolfi, per quanto brava in gesti ed espressioni facciali. Però però… “Lo fo” si dice a Firenze, non certo a Livorno! …Deh!!

  11. Elisa Pupona
    Posted 5 febbraio 2010 at 23:58 | Permalink | Rispondi

    anche io sono pisana e promuovo a pieni voti l’accento livornese di tutti, in particolare di mastandrea che invece ho trovato perfetto anche nella calata oltre che nell’interpretazione.
    Concordo con la bella rece di Manu, e magari lo vado anche a rivedere.. il trailer di Baciami Ancora prima del film mi ha provocato una gran tristezza per quel cinema Italiano…ma menomale che c’e’ Virzi’, Menomale de’.

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