Nel giro di tre giorni, 72 ore, sono andato a vedere, per parlarne stasera in trasmissione, Io sono l’amore, film del 2009 di Luca Guadagnino, e Happy Family, film del 2010 di Gabriele Salvatores. Sulla carta pensavo che i film sarebbero stati diversi e che mai avrei potuto parlarne insieme, senza neanche una canzone in mezzo. E invece no. Io sono l’amore e Happy Family sono due contenitori senza niente dentro, entrambi ambientati a Milano (vogliamo dire che “la città è un altro protagonista”? E diciamolo), e trattano entrambi di persone ricche e borghesi avendo come modello di messa in scena dei riferimenti alti. Uno vuole fare piagne, uno vuole fare ride, ma entrambi mi hanno fatto dire, alla fine della proiezione: “Sì, ma quindi?”
Il film di Guadagnino parla di una ricca famiglia di industriali tessili milanesi, i Recchi. Nonno Recchi, nella sera del suo compleanno, ad una bella cena con tanto di servitù (ma trattata democraticamente) passa il timone dell’azienda al figlio Tancredi (Pippo Del Bono) e al nipote Edoardo (Flavio Parenti). La moglie di Tancredi, e madre di Edoardo ed Elisabetta (Alba Rohrwacher), è una russa (Tilda Swinton) che però si innamora dell’idealista cuoco amico “povero” di Edoardo, Antonio (Edoardo Gabbriellini), scopandolo per lo più in ambienti bucolici, dove il cuoco si ritira per coltivare le verdure con le quali prepara piatti bellissimi. La storia è qua. Ah, no. Elisabetta scopre di essere lesbica e molla davanti a tutti il fidanzato. E poi va a Londra a studiare fotografia. Oh yeah. Cosa fa Guadagnino? Mette in scena tutto con un calligrafismo esasperato: dettagli dei gamberi sui piatti, dettagli degli insetti sui fiori, delle mani sulle tette, delle statue del Cimitero Monumentale che lacrimano colando pioggia nel giorno di un funerale (che conclude il film). Un’esasperazione di didascalismi che, forse, vorrebbe strizzare l’occhio a Visconti e ai suoi ultimi film, ma che nasconde un vuoto pneumatico totale. Certo, Tilda Swinton è brava, Pippo Del Bono è inesistente: e i due, insieme, si trovano a letto a guardare una scena di Philadelphia, sì, quella con carrello circolare e Hanks che spiega a Washington i segreti dell’opera lirica.
Salvatores, invece, gioca su altri piani: attraverso uno scrittore (Fabio De Luigi, che dice: “Ora scrivo un film”, ma davvero) conosciamo, per modo di dire, due famiglie. Una è quella dell’avvocato Vincenzo (Fabrizio Bentivoglio), sposato con Margherita (Margherita Buy), ma non scopano, e hanno due figli da altri matrimoni: la nevrotica Caterina (Valeria Bilello) e l’adolescente vecchio dentro Filippo (Gianmaria Biancuzzi). L’altra è una famiglia più popolare e freakkettona: madre nervosetta (Carla Signoris) sposata a zingaro un po’ peones che si fa le canne (Abatantuono). Anche loro non scopano. La figlia adolescente, Marta (Alice Croci), molla Filippo alla cena di compleanno di Vincenzo, che ha un cancro, a cui è invitato anche Ezio, che si innamora di Caterina. Il tutto in un tripudio di ammiccamenti, sguardi in macchina, battute autoreferenziali, metatestualità un tanto al chilo. I personaggi si ribellano quando Ezio chiude “il film” (con tanto di primi cartelli di titoli di coda) e si rianimano quando Ezio chiude le storie lasciate aperte. Il che lascia spazio per un bel montage in bianco e nero sulle note di un “Notturno” di Chopin che riassume la Milano di oggi, multietnica, popolata anche di writer, immigrati, punkabbestia e persone sole (ohh). Ma, alla fine, Vincenzo va a fare un viaggio a Panama con Abatantuono (e insieme si fanno le canne, che, ci siamo scordati di Marrakesh Express?), e muore circondato da parenti, Ezio e Caterina (fidanzati e in attesa di pargolo) su un letto che dà sull’oceano. Funerale, anche qua. Ah, ma forse questo è solo il film che si è immaginato Ezio, che, conclusa la scrittura, esce di casa e? Incontra la sua vicina che è uguale a Caterina. E stavolta, grazie al cielo, il film finisce veramente. Ma qualcuno ha avvisato Wes Anderson? No, perché I Tenenbaum è ovunque: dal montaggio alla sigaretta fumata nella vasca da bagno fino alla fascetta da tennis indossata da un personaggio.
Citare, per carità, non è un peccato mortale: chi non lo fa. Ma questi film sono scatole con delle decorazioni dozzinali appiccicate sopra, dalle quali spuntano etichette che dicono “Wow, Luchino! Drammi borghesi ben fotografati!”, oppure “Ehi, sapida e intelligente commedia con i personaggi che si rivolgono allo spettatore! Aprimi!”. Poi le apri e dentro non c’è niente. Ma niente di niente. E, sarà un caso, ma con questi due arrivo a tre film italiani pessimi che mi puppo uno dopo l’altro, in fila.
8 Comments
E la tragica sintesi tra ‘ste due ciofeche potrebbe essere Mine vaganti?? (che vuole far piagne e ride, ha i personaggi pazzerelli, un protagonista artista/scrittore, pranzi, matrimoni e funerali, ecc…ah, e lo stesso sceneggiatore di Io sono l’amore)
Malvezzo, mi sa che hai ragione. E scatta la prospettiva dietrologica.
E’ l’Italia, fratello!!
(dimenticavo: anche la famiglia di Mine vaganti è borghese/imprenditoriale! Tutto si tiene…)
ieri sono andato a vedere salvatores
con l’alta motivazione
che hanno girato parte del film
in un appartamento di fianco a quello dei miei.
sono arrivato alla conclusione
che il film fa molto più schifo
di come ne ha scritto fra
che tra l’altro non ha detto nulla
manco sulla tetta laterale della bilello
nettamente la cosa più bellissima del film.
Caro francesco, però dobbiamo capirci su cosa intendiamo con quel nulla che c’è dentro la scatola che dice aprimi…a me la scatola è piaciuta, e l’ho trovata delicata e colorata, con punte di ironia (anche molto autocompiacimento, certo…) e già dopo 22 minuti sapevo che dentro non c’era nulla, ma ho continuato a scartare ugualmente perchè il gioco mi divertiva…alla fine cosa rimane? e qualcosa rimane fra le pagine chiare e le pagine scure….con affetto Superpippa!!
Ah, dimenticavo…parlavo di happy family!! ça va sans dir!!
anche io, mentre imprecavo uscendo dalla sala dove avevano proiettato sto film del cazzo, mi son poi ricreduto pensando “beh dai, però ho visto una tetta della bilello.”
happy family è comunque utile perché racchiude in sè TUTTO ciò che fa del cinema italiano una merda.
Su Guadagnino, anche se in termini meno estremi, il NYTimes appare solidale con Secondavisione e tutti noi…
http://www.nytimes.com/2010/03/31/movies/31directors.html?8dpc
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