Matrimoni e altri disastri, Nina di Majo, 2010

Matrimoni e altri disastri è il film più potentemente teorico e radicalmente politico mai fatto in Italia negli ultimi 20 anni.

Sulla teoria e la pratica del remake abbiamo visto molte cose: orde di giovinastri che cercavano di imitare i b-movies italiani degli anni 70,  migrazioni di storie horror nel tempo e nello spazio, decine di autori hanno cercato di imitare il tocco inconfondibile di Hitchcock, Gus Van Sant ha rifatto Psycho inquadratura per inquadratura come un novello Pierre Menard, abbiamo visto omaggi, citazioni, trasposizioni…ma solo Nina di Majo ha deciso di mettere in un film tutto il cinema italiano di merda degli ultimi 20 anni, un corpus che farebbe tremare i polsi anche all’Es di Quentin Tarantino.

Ma non fredda teoria, ma un’esperienza di visione completa e totalizzante. A un certo punto l’affastellamento di stereotipi supera con un balzo che neanche uno stambecco, nemmeno il Sotomayor più in forma, il livello di guardia, e poi  si viene travolti da un lampo, è il sublime, e ci si trova davvero negli anni 90, e corri a una cabina telefonica a vedere il Pearl Jam per poi comprare il cd e collegarsi a internet con il tuo fiammante 56k.

Una perfetta alchimia tra teoria allo stato puro ed esperienza sensoriale. La ricostruzione perfetta di un film del 1999, con tutti i difetti possibili, con tutti gli stereotipi in ordine, quelli che hanno ammorbato per 20 anni gli spettatori del cinema italiano, si proprio voi!

L’inizio è folgorante: voice over di Margherita Buy al matrimonio che piange, recitata in quell’italiano scrittissimo che nessuno hai mai parlato in 150 di unità e che nessuno dovrebbe mai aver nemmeno pensato di scrivere. Cose del tipo “sono una single o quello che, più mestamente, si dice una zitella”.  Quell’inciso così scritto, tutte frasi talmente perfettine da essere senza alcuna spina dorsale né alcun interesse e nessuna vita.

Poi flashback. Margherita Buy si sveglia in una casa piena di libri, si vede uno Zola sulla scrivania, un Adelphi aperto a metà sul letto, con un’inquadratura che fa tutta la libreria per andare sul letto (topos della cultura come orpello). Poi, due minuti dopo, Margherita Buy (che interpreta un personaggio esattamente dell’età che lei aveva nel 1999), va in un cazzo di casale ristrutturato in Toscana, dove risiede la sua famiglia ricca ma terribilmente disfunzionale, che possiede una vigna da cui ricava dell’ottimo rosso di qualità da vendere agli americani che vengono in vacanza in Toscana.  Una mezza dozzina di stereotipi enormi in tre minuti, che se non è record poco ci manca. Se poi aggiungiamo che la Buy interpreta la figlia frustrata, intellettuale, piena di fobie e di sfighe, aggiungiamo a tutti gli stereotipi anche una decina di strizzate d’occhio e paraculate agli spettatori. Davvero, ero a bocca aperta davanti a tanta teorica sfrontatezza.

Inoltre, la Buy gira in Vespa per Firenze con un casco uguale a quello di Moretti, lavora in una piccola libreria del centro, quelle all’angolo della via, piene di calore umano e di preziosi consigli,  che io quando le vedo in un film divento subito un nipote di Ligresti e penso che lì ci starebbe proprio bene un albergo di 15 piani con facciata a specchio costruita con materiali scarsi con vista pompa di benzina. E poi, non passa mese che non si veda su Repubblica un cazzo di articolo che in Italia non legge nessuno, che manco per reggere i tavolini usiamo più i libri ma ci mettiamo i telefonini vecchi ormai, e che se potessimo ci metteremmo internet sotto quei tavolini che non stanno in piedi. Insomma, come è che in ogni brutto film italiano c’è un simpatico libraio che non vende nulla perché la libreria è sempre vuota? Come fa a campare?  perché così tanti librai? Stando al brutto cinema italiano tutti gli italiani o fanno i librai, o i preti (due ce ne sono in questo film), oppure  dovrebbero avere un libro sottobraccio quando vanno in giro per la città.

“ehi, ma oggi hai comprato almeno un libro?”

“Non me lo dire, non ce l’ho fatta, ma sono andato con mia moglie sabato alla libreria dell’angolo. C’era una ressa…ne ho comprati sette per tutta la settimana, e poi altri 3 ché devo regalarli a mio nipote”

“Ma fai l’abbonamento al club degli editori, mi sa che ti conviene!”

“Ma no, quella è una multinazionale malvagia che spaccia libri in tutto il globo. Io vado solo nelle librerie negli angoli e nei vicoli”

“Si, però dà lavoro a mezzo paese”

“Eh, sì, mentre l’altra metà è composta da sacerdoti dal cuore d’oro che con arguzia risolvono i problemi della vita di tutti i giorni”

“Ehi, guarda che ti sono caduti i 13 libri che tenevi nella borsa”.

“Oh, grazie, questi ce li avevo doppi e li stavo portando nella mia libreria all’angolo, per vendermeli, anche se separarsene è difficile, ogni libro una piccola storia”

“non me lo dire, io i doppioni li porto in a Don Enrico che poi li dà in beneficienza e solidarietà, così anche i poveri possano avere la loro dose di libri”

“Bravo, domenica io invece ho regalato tre libri a Don Paolo”

“Quello che gestisce le librerie del Sacro Cuore?”

“No, quello che dà una mano ai RIS con i rilevamenti del DNA”.

Nella libreria ci sta la Littizzetto che, con un geniale colpo di casting spiazzante, fa la zitella disperata. Al che mi aspettavo che a un certo punto entrasse il povero Battiston che interpretava il sovrappeso tenero e simpatico e che non trova l’amore e legge le poesie di Montale alla prostituta di cui si è perdutamente  innamorato, ma a quel punto si sarebbe raggiunta la perfezione nei primi 10 minuti e il mio cuore non avrebbe retto.

Poi c’è Fabio Volo che fa il bauscia berlusconiano che bada al soldo e dice, orrore, le parole in inglese, tipo schedule. Ignorante, arrogante, paraculo ma probabilmente con un cuore enorme.  Davvero, uno stereotipo ricalcato direttamente dal commendator Zampetti (pace all’anima sua), e quindi direi non si va oltre al 1992.  Ma però con la pacificazione anni 90. Sì, sarà uno che parcheggia nei posti riservati agli handicappati, però ha una storia familiare terribile e in fondo ha un cuore d’oro ed è molto tenero e simpatico, anche se parla in un vago lombardo. Gli yuppie anni 80 come obiettivo polemico nel 2010? No, è ovvio che tutto sta nel progetto autoriale di ricostruire gli anni 90 e il brutto cinema di quegli anni e degli anni a venire.

C’è il concerto di Beck. C’è il giovane ribelle che non vuole studiare ma vuole andare al concerto di Beck.  C’è l’ospite sgradito in casa Buy che è uno svedese che vuole fare il regista DOGMA anche se non ha mai fatto un cazzo e guarda solo la De Filippi. DOGMA. Siamo nel 1999, è ovvio. DOGMA, in un film del 2010. Se questa non è un colpo di genio teorico per ricostruire il 1999, non so cosa possa essere. Pensare che gli spettatori del film sono stati nella foresta Amazzonica a fare esperimenti etnografici negli ultimi 12 anni? Inverosimile.

L’esperimento raggiunge la perfezione con la Buy, che si chiama Nanà (romanzo di Zola), la quale, mentre aiuta alla sorella a fare la lista nozze, compra tutte le cose eque e solidali e fa beneficienza a Medici Senza Frontiere, per spregio a Volo lo yuppie so 1988, mentre noi siamo catapultati così tanto nel 1999 che sullo schermo ingaggiano per suonare al matrimonio un orchestra klezmer.

Mi sembra di aver già fornito abbastanza prove della potenza teorica di questo film, dopo 45 minuti sarete convinti di vivere di essere ancora nel 1998 e vi troverete a fischiettare “evviva il cinema di qualità”. Davvero, qui si parla di perfezione, una vetta sublime quasi lisergica di trasposizione nel tempo e nello spazio. Il film definitivo, in un certo senso.

Ma questa teoria non è fredda e non è avulsa dal dire la sua senza peli sulla lingua a proposito della situazione politica di questo paese, che è tanto bello se solo non ci fossero gli italiani a rovinarlo.

Ecco, c’è voluto tanto tempo, tanti piccoli passettini di avvicinamento, tanta attesa ma, finalmente, abbiamo il perfetto film berlusconiano. Un film-manifesto oserei dire.

Come tutti sapete, il miracolo comunicativo berlusconiano non è stato quello di convincere il paese di avere lui stesso delle grandi capacità quasi miracolose, ma quello di togliere completamente la credibilità a suoi avversari, rendendo l’essere di sinistra qualcosa di inutile, poco affascinante e sfigato. Non fa credere in quello che dice, ma disintegra completamente i suoi nemici tramutandoli in caricature completamente inaffidabili e prese in giro dalla maggioranza.

Ecco, quale film manifesta questa potenza più di Matrimoni e altri disastri? E lo fa addirittura a un doppio livello, sia testuale sia culturale, di strutture della sfera culturale.

Cominciamo dal livello testuale, quello più facile. Innanzitutto, la protagonista. Tipica donna di sinstra che compra le cose eque e solidali, che fa beneficienza, che parla bene di Gino Strada, che si commuove sentendo i primi 4 versi di A Silvia, che ha studiato lettere e che tiene una piccola libreria ma al tempo stesso vive in 180 mq in centro a Firenze con terrazzo (da cui miracolosamente si vede il cupolone) e colonnato d’epoca. E, ovviamente non scopa da 1000 gg, anzi allontana tutti. Ama, non corrisposta, una specie di subcomandante Marcos-scrittore italo inglese che ha avuto una vita avventurosa e lei pende dalle sue labbra e, per divertirsi, va alle presentazioni dei suoi libri. Insomma, una caricatura ferocissima e tanto più subdola quanto il film sembra prendere le sue parti. Un ritratto tanto malvagio da risultare geniale, o luciferino.

Aggiungiamo la sua famiglia: il di lei padre è un ex professore universitario che vive in un enorme casale, si addormenta mentre legge Marx e riviste come Micromega e per divertirsi va a rincoglionirsi al circolo Arci del paese per ballare il liscio e vincere dei prosciutti a tombolone.  La famiglia è ricchissima, evidentemente sfruttando le vigne e attingendo a degli ingenti patrimoni sconosciuti a noi spettatori. Uno come il padre in un film sanamente di sinistra dovrebbe essere preso a forconate dal primo bracciante alla terza inquadratura. E invece no. SEGNALE PRECISO!

Inoltre, la famiglia di rossi vive nel peccato, nella menzogna e nell’ipocrisia, in cui tutti si fanno le peggio cose l’uno con l’altro, quasi non fosse una sana famiglia italiana in cui tutti lavorano per tirare avanti la baracca.

Il circolo di amici della Buy è composto da vecchiacci progressisti ricchi e snob con la puzza sotto il naso. Come pensare che questo ritratto così al vetriolo non celi un odio profondo per queste persone?

In più, l’unico simpatico e vitale è Volo, che sarà cialtrone e ignorante ma ha un cuore d’oro (vi ricorda per caso Il gusto degli altri?), che è evidentemente di destra in quanto lavora, detesta la lirica, parla male senza cognizione di causa di Gino Strada  e parla con un sacco di termini inglesi. Ed è veramente innamorato della sua futura sposa, Francesca Inaudi.

Non si era mai visto in Italia un ritratto così spietato della sinistra, o di quello che resta di essa.

Ma, come già detto,  il forte connotato politico di questo film non si ferma a queste notazioni testuali, il progetto è sicuramente più di struttura: non si tratta di una parodia, o di uno svilimento, ma di fare LA SUMMA del cinema italiano brutto con tutti i suoi crismi, tic e ideologie.

Matrimoni e altri disastri, insomma, è la pura esemplificazione del più importante costrutto culturale elaborato della sinistra italiana negli ultimi 20 anni, in particolare dal suo nume tutelare Walter Veltroni: il cinema di qualità. E, nel suo farsi reale come un puro cristallo, si mostra nella sua intima natura, quella di essere una cagata pazzesca. Non presa in giro, ma ma presa sul serio del  ” cinema di qualità” e, nel fare ciò, lo si porta alle estreme conseguenze. E’ questa l’essenza, subdola ma efficacissima, dell’operazione magistralmente berlusconiana di questo film. Prendiamo sul serio il cinema di qualità, portiamolo alle estreme conseguenze, e vedete coi cosa ne viene fuori.

(Ovviamente, in questo caso si parla di cinema, ma si può applicare a qualsiasi sostantivo a cui è stato applicato i predicato “di qualità”: musica, letteratura, teatro ed, in particolare, tv dove questo uso scellerato del termine è nato e si è propagato come un virus in tutti gli altri campi).

Una bellissima illusione quella coltivata in quel decennio là, alla fine del secolo scorso, la cui essenza era l’assenza di spina dorsale e in cui il conflitto era considerato scomparso dall’animo e dalle faccende umane e la rivoluzione sarebbe lemme lemme senza colpo ferire arrivata attraverso il capitalismo, le tecnologie, la buona volontà e la democrazia, e tutto sarebbe migliorato senza fare alcuno sforzo perché in realtà tutti si andava nella stessa direzione, e tutti un giorno avremmo visto film intelligenti fatti da persone intelligenti per diventare tutti intelligenti e pacificati e a posto.

Era l”illusione che bastasse contrapporsi a una non meglio specificata “quantità”, che per sua stessa definizione non può essere specificata, ma sempre evocata come il mostro pistolepippepuzzetteepuppappera. Senza avere un’idea, che bastava essere diversi da pistolepippepuzzetteepuppappera per essere meglio. Non si sa in cosa. Anche perché la qualità senza specificazione non vuol dire nulla: bellezza? Professionalità? originalità? Coraggio? Boh?

Un simpatico concetto morto e sepolto, perché vivente solo per contrapposizione, che lascia le proposte positive solo al pistolepippepuzzetteepuppappera, che reagisce sempre in ritardo contrapponendosi a ciò che era già sorpassato, rispondendo a un pistolepippepuzzetteepuppappera vecchio, che è già mutato, che nessuno caga. Oppure, peggio,  dicendo che era qualità quello che si era fino all’altro ieri considerato fuffa, mostrando la desolante mancanza di un’idea propria.

Matrimoni e altri disastri è berlusconiano perché mostra che tra “Francesca Inaudi nuda” (NDR in questo film è sempre vestita) e “Aida Yespica nuda” come chiave di ricerca non c’è differenza. Perché la gag dell’architetto con l’alitosi della Littizzetto neri Parenti l’avrebbe scartata, e la gag è brutta sia che l’alito fetido ce l’abbia un ricco architetto o che ce l’abbia un coatto povero.  Si ride sul sesso che non si fa e sulla Buy che cade in un cassonetto, si ride  Fabio Volo sbronzo che prende le porte sul naso. E tanto altro. E’ tutto fatto per mostrare che, Itala docet, “la qualità nun me convince”. E con tutte le ragioni non convince. Perché la qualità è solo un’etichetta di vendita per un pubblico che ama pensare di trattarsi bene.

Il compimento del progetto comunicativo berlusconiano di questo film è quindi di mostrare la sinistra come inetta e fastidiosa, utilizzando gli strumenti della stessa sinistra portati alla perfezione cristallina

Per questo è un film che, forse, chiuderà i conti con 20 anni di equivoci. Matrimoni e altri disastri è un film perfetto. Direi epocale.

Trailer | IMDB

14 Comments

  1. ratto inetto
    Posted 28 aprile 2010 at 14:29 | Permalink | Rispondi

    Post capolavoro.
    90 minuti di applausi.

  2. fedemc
    Posted 28 aprile 2010 at 14:53 | Permalink | Rispondi

    pure 91′, guarda…
    grandissimo manu.

  3. Jenny
    Posted 28 aprile 2010 at 14:57 | Permalink | Rispondi

    con un film così manu dà davvero il meglio di sé…

  4. mal
    Posted 28 aprile 2010 at 17:37 | Permalink | Rispondi

    Applausi!
    Vi ricordate gli esordi della di Majo, quando tentava di fare film stile Moretti? Mi chiedo quale tappa sia peggio…

  5. dan.galvano
    Posted 1 Maggio 2010 at 23:31 | Permalink | Rispondi

    capolavoro.
    c’avete presente tremonti di neanche due mesi fa che rivolto al popolo leghista diceva noi siamo quelli che leggiamo qualche libro in meno ma facciamo le cose?
    ecco, il messaggio tradotto in pellicola è tutto là

  6. BabiDec
    Posted 3 Maggio 2010 at 14:31 | Permalink | Rispondi

    il film,in effetti, è impeccabile. Basta guardarlo dalla “prospettiva giusta” (che poi è quella “sbagliata”) @_@

  7. tuttavia
    Posted 3 Maggio 2010 at 15:00 | Permalink | Rispondi

    commento geniale!
    sono assolutamente d’accordo, mai visto un concentrato cosi imbarazzanti di cliches…ma le hai lette le recensioni? a parte maria rosa mancuso c’è una standing ovation! si parla di di un film “intelligente”ironico e leggero.
    il cinema italiano sta tanto male

  8. Posted 3 Maggio 2010 at 19:13 | Permalink | Rispondi

    con un post così ovviamente poi uno se lo scarica subito

  9. Silvia
    Posted 6 Maggio 2010 at 15:09 | Permalink | Rispondi

    “La corazzata Potomkin…. è una cagata pazzesca!!!”

    Post mitico!

  10. stefano
    Posted 14 Maggio 2010 at 21:17 | Permalink | Rispondi

    è la critica più geniale che io abbia mai letto nella mia vita. complimenti davvero. il film è proprio una sconfitta di questo Paese.

  11. laura
    Posted 14 Maggio 2010 at 21:26 | Permalink | Rispondi

    che malinconia, che pochezza, siamo veramente ridotti male,sono sicura che molti, più meritevoli e talentuosi , si chiederanno:perchè?

  12. mollica de gregorio
    Posted 14 Maggio 2010 at 22:33 | Permalink | Rispondi

    Ora sono sicura che vale la pena andarlo a vedere!!!!

  13. Posted 7 aprile 2011 at 09:20 | Permalink | Rispondi

    Leggo solo ora il post dopo aver visto il film (non tutto, non ce l’ho fatto). Beh ragazzi, chapeau.

  14. Guglielmo
    Posted 12 febbraio 2012 at 11:37 | Permalink | Rispondi

    Sei di quelli che vede Berlusconi ovunque. A me sembra che prevalga l’autoironia, più che altro.

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  1. […] senza lasciare eredi – vedi Furio Scarpelli -, il genere film-impegnato-di-sinistra raggiunge punti di bruttura ineguagliabili e i debuttanti si fanno notare per i cognomi che portano. Kalle […]

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