Non esattamente una recensione di Il mio domani, il film presentato al Festival Internazionale del film di Roma. Di quello se n’è parlato in trasmissione. Più che altro un dubbio, dopo aver letto questo articolo, segnalato da un amico, in cui Bandirali e Terrone seppelliscono This Must Be the Place di Sorrentino.
Il fatto è che, cambiati alcuni riferimenti, buona parte dell’articolo potrebbe funzionare per Il mio domani. Lo “stracco epigonato” punta al cinema d’autore degli anni Sessanta (Antonioni in testa), anziché a Jarmusch e ai Coen. I “puntelli di comprovata efficacia” sono la morte del padre e la fotografia, anziché il rock e la Shoah. Le invenzioni visive, “ossia quei momenti di messa in scena che esistono soltanto per segnalare che ciò che stiamo vedendo è un film d’autore”, in termini di costruzione del quadro, di movimenti e di gestione del vuoto, non mancano certo in Il mio domani. “Inconsistenza tematica e narrativa” ve sempre bene. E in più c’è anche il tentativo di accedere a nuovi pubblici attraverso una presenza attoriale inconsueta rispetto ai precedenti del/della regista, lì Sean Penn, qui Claudia Gerini.
Eppure a Marina Spada – non personalmente, ché non la conosco – voglio bene. Il suo film precedente, Come l’ombra, secondo me era splendido. E quelle cose che in un film di Sorrentino mi danno fastidio quasi quanto a Bandirali e Terrone, qui le tollero, anzi le accetto perché mi sembrano far parte del gioco. Perché quel tipo di noia, una-due volte l’anno, se c’è un lavoro rigoroso sulle immagini e sulla loro capacità di comunicarmi qualcosa, sono disposto a sorbirmelo. Ed è retorico chiedersi se le vorrei bene lo stesso nel caso diventasse famosissima e celebratissima, anzi la campionessa del cinema d’autore italiano, indicatissima per i dibattiti in TV e l’esportazione; ovvio che no.
E allora mi pare che al discorso di Bandirali e Terrone, che pure condivido nelle premesse, manchi qualcosa, e non intendo solo una pars construens. Il cinema forse è diventato noioso come il teatro e il museo, ma la pratica della cinefilia è essa stessa cambiata e in qualche caso (parlo per me, s’intende) diventa esercizio di un gusto che rinuncia programmaticamente a essere egemonico, indipendentemente dalle istituzioni attraverso le quali si esprime. Anzi, più sono periferico, più sono contento. In questo mi pare che il riferimento culturale sia sempre di più quello delle sottoculture musicali e sempre meno quello della cinefilia tradizionale. Ma magari è solo un problema mio e di Marina Spada, ci sta.
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One Comment
Ciao Marina,
Mi devi solo chiarirei se sei nata in via Cenisio 54 a Milano. Se così fosse ci crosciamo di persona da sempre.
Saluti
Bruno