Pietro Mereu ha 38 anni, è sardo e abita a Roma. Ha lavorato nell’ambito della comunicazione, ma da otto mesi non ha un lavoro. Decide così di indossare un cartello che lo identifica come “disoccupato in affitto” e di cercare lavoro in giro per l’Italia, attraverso nove città del Paese.
Questa, in breve, la struttura di Disoccupato in affitto, il documentario di Luca Merloni e Pietro Mereu: un’ora e un quarto no budget per raccontare solo in maniera marginale la storia di Pietro e della ricerca di un’occupazione. Nelle strade di Roma, Firenze, Lecce, Cagliari, Genova, Bologna, Verona, Napoli e Milano, infatti, i due autori fanno emergere le diverse concezioni di lavoro, da parte di chi ce l’ha e di chi l’ha perso, di chi vorrebbe darlo ma non trova candidati; ma, molto spesso, si limitano ad ascoltare e riportare le reazioni dei passanti a quest’ennesima disperata versione di uomo-sandwich. La figura del “cartellone deambulante” e tutto ciò che ne deriva non è marginale del film, che infatti viene attraversato da una breve ed efficace storia dell’uomo sandwich dalla prima dickensiana comparsa ad oggi, resa con illustrazioni e disegni.
Non è facile giudicare il documentario, simile a un’inchiesta giornalistica, errante e privo di tesi per natura: è un documento interessante di quello che stiamo vivendo, montato in maniera efficace e gestito ottimamente dal punto di vista della messa in scena e della forma del racconto. Si sente l’urgenza e la voglia di raccontare degli autori che, nonostante qualche ingenuità (come qualcuno dei cartelli sul finale) permettono di percepire in maniera sincera almeno parte degli umori di un Paese di fronte a una crisi economica che vivremo, con ogni probabilità, per molti anni.
Nella puntata di martedì di Seconda Visione abbiamo intervistato in diretta Pietro Mereu.