Il teorema di Bruno Sacchi o Glee (Ryan Murphy, Brad Falchuck, Ian Brennan)

Il tentativo iniziale era di paragonarlo a qualcosa di conosciuto.

La più facile “Ehi, è l’High School musical per quelli che hanno superato il 14 anni di età (mentale)”.

Un pochino più complicata, ma sembra una tag promozionale “Ehi, il nuovo Fame!”.

Tutte vere ma banali. Il difficile è stato paragonarlo ad Amici di Maria de Filippi. Cose come “Amici con anche i neuroni!”, “Non è un paese per zarri” e “Cantano e ballano, ma non c’è il demonio” non andavano bene.

Allora uno si chiede perché, e quindi tenta di giustificare intellettualmente il proprio “guilty pleasure” con elaborazioni varie ed eventuali. Perché, si, a me è piaciuto, e mi sono anche commosso talvolta. Mi piacciono i pezzi, le coreografie e pure mi sono appassionato alle vicende narrate. Ben scritto e ben fatto. A volte con qualche sussulto di consapevolezza “Ma perché sto vedendo questa cazzata”, ma alla fine me lo sono bevuto tutto. Sarà il rincoglionimento, ma comunque sì, secondo me vale la pena vederlo, se non altro perché dare una soddisfazione a una bella campagna promozionale a volte ci sta pure.

Ma soprattutto capire perché il paragone con Maria de Filippi non regge.

Nerd è una delle parole più inflazionate attualmente, quindi preferiamo utilizzare outsider perché più corretto. Forse perché vengo da un altro tempo in cui i nerd venivano cosparsi di pece e piume e additati al pubblico ludibrio, e quindi potevano anche avere la loro epica rivincita. L’orgoglio nerd fornito dallo spirito del tempo è assai piacevole perché ho una titillante giustificazione a posteriori per il fatto di aver giocato a Dungeons and Dragons, ma avrei preferito avere tali strumenti retorici all’epoca in cui la società civile non mi toccava neanche con le pinze del camino.

I protagonisti di Glee sono degli outsider per varie ragioni: omosessualità, razza, cheerleader in declino causa gravidanza, disabilità, secchioneria ecc. ecc. Ma, in ogni caso, ci si identifica con loro, e comunque si parteggia per loro nel percorso verso un riscatto dalla umiliazioni subite. La presa per il culo e la persecuzione sono il rischio continuo, spesso la motivazione che fa vacillare, per un riscatto futuro, ovviamente tramite la bravura, o quell’oggetto misterioso della contemporaneità che è il “talento”. Oggetto teoricamente interessantissimo perché è il collante delle rappresentazioni, per cui tutto si tiene o, meglio, è accettabile. “Ha talento” fa sì che pessime rielaborazioni di Beyoncé con coreografie pachidermiche. Il talento è un imponderabile, una via di mezzo tra un dono, un’ostinazione, un’intenzione, un vago accordo con norme estetiche vigenti, la commiserazione e la promessa di un mondo migliore.

In Glee il talento è quell’arma a doppio taglio che causa l’esclusione e che promette che l’esclusione un giorno finirà. Nulla di nuovo, mistica della fatica che verrà ripagata. Però esiste un movimento che permette lo scambio dall’esclusione all’inclusione.

Al che si giunge alla domanda finale: perché non ci sarà mai un Glee in Italia?

Risposta 1, produttiva, perché la fascia di pubblico di Glee è troppo elevata, si guarderà Glee e qualsiasi imitazione invece no. La restante fascia di pubblico è occupata da Amici e spin off vari. Ma in realtà questa spiegazione è fallata all’inizio: Glee non è un prodotto alto (per intenderci, non è Mad Men e nessuno può prenderlo come tale) e quindi dovrebbe raggiungere una vasta platea.

Io penso che la questione sia più relativa al testo, cioè che le dinamiche di inclusione ed esclusione non siano realmente prese in considerazione nel panorama culturale italiano. Spiego: chi è l’outsider nei ragazzi della terza c? (so che usare un prodotto di 25 anni fa come esempio potrebbe essere considerato sconsiderato, ma mi difendo dicendo che a) non è cambiato un cazzo b) scelgo gli esempi come mi pare c) la contemporaneità nella cultura di massa secondo me comincia nei primi anni 80)

Come consumi culturali sarebbe Benedetta Valentini, la dark (cfr. post precedente) Ma in realtà non è esclusa, è una che simpaticamente si audoesclude con le sue simpatiche bizzarrie, come il cinema coreano.

Le vere outsider sarebbero le secchione,Elias e Tisini, ma esse sono il nemico. La dinamica dell’inclusione non le sfiora neppure: sono brutte cattive e antipatiche, sono secchione. Sono costruite come antagoniste.

L’altro candidato invece è Bruno Sacchi.

Ed è su di lui che parteggia la serie, su i suoi tentativi goffi (goffi “perché è ciccione”) di essere incluso. Ma lui in effetti non è un escluso, sarà un po’ più goffo, un po’ più pirla, un po’ più popolano degli altri, ma fa parte del gruppo. Sarà forse l’amico povero in cui il protagonista si specchia per essere ancora più esaltato (cfr. I gironi infernali del cinema italiano), ma non è mai totalmente escluso, come non è mai totalmente incluso.

Messo così, a mezzo. Il talento non è un discrimine, non lo è mai stato, comunque si è tutti dentro, un pochino, ma tutti fuori, perché al massimo si andrà a fare i ballerini di fila e la celebrità non è quella data dal talento ma dall’esserci. Come il coinvolgimento nelle attività della classe non è data da un effettiva partecipazione ma da uno stare lì, essere presente.

Quindi, chiamiamolo teorema di Bruno Sacchi, che dimostra l’incapacità di rappresentare l’outsider nella cultura popolare italiana. È che siamo in fondo tutti buoni e tutti assieme. Non c’è esclusione originaria, e quindi non c’è lotta per l’inclusione. Il talento, qualsiasi cosa sia, serve solo per esserci ma mai per diventare una stella, o per porsi in prima fila. L’ambizione è quella di essere presenti e non quella di cambiare se stessi. In sintesi, non c’è motore narrativo. Semplice semplice. Per questo abbiamo i talent show ma non le talent fiction. Per questo abbiamo Amici e non avremo mai un Glee. E coloro che cercano narrazioni diverse o si riducono a fare i teletnologi guardando come si divertono gli italiani, mixando Guy Debord (temo che ci sia ancora lui) e Alessandra Amoroso o si riducono a cercare fuori quello che qui non potranno mai trovare lamentandosi del provincialismo. In ogni caso, una posizione da “loser” senza riscatto. Da Bruno Sacchi in fondo.

E comunque, sì, Glee mi è piaciuto.

E giuro che smetto di postare cose con i ragazzi della terza c dentro.

IMDB

5 Comments

  1. Vera
    Posted 1 febbraio 2010 at 16:25 | Permalink | Rispondi

    Grazie Manu!
    Ma se nei prodotti televisivi italiani il tema dell’esclusione è assente e l’ambizione è vista come strumento per essere presenti e non come cambiare se stessi, non mi sembra che in glee ci sia l’ambizione di cambiare se stessi. I personaggi ambiscono a salire i gradini della scala sociale, a cambiare status, ma non agiscono su loro stessi per diventare persone migliori. Anzi qualsiasi gesto di solidarietà, di aiuto è in raltà mosso da fini molto personali e non si fa neppure molto per celarli. E questa è proprio una delle cose che mi piace di più in Glee, questo cinismo mal travestito, dove nessuno è buono e lo spirito di gruppo ed appartenenza sono solo funzionali alla rivalsa personale.

    Non so tu, ma io non so come fare a resistere fino al 13 aprile?

  2. manu
    Posted 1 febbraio 2010 at 17:00 | Permalink | Rispondi

    Prego, forse mi sono spiegato male.
    Alla fine il cambiamento è solo di status (essere vincenti, diventare una star). Non itentedvo persone miglior, solo scalata sociale. ma il discorso vale lo stesso
    Anche a me piace il cinismo vaghissimo che si inserisce nella favola
    ciao

  3. manu
    Posted 1 febbraio 2010 at 17:08 | Permalink | Rispondi

    via kekkoz.tumblr.com

    http://fuckyeahglee.tumblr.com/

  4. BabiDec
    Posted 10 febbraio 2010 at 11:30 | Permalink | Rispondi

    pilot impeccabile. gran ritmo. gran colonna sonora (più quella extra che quella diegetica, in realtà).credibilissimo.Bello, bello, bello, bello!

  5. Gaia
    Posted 15 febbraio 2010 at 13:58 | Permalink | Rispondi

    Con Glee gli americani hanno dimostrato ancora una volta che quando si tratta di musical e show non sono secondi a nessuno, perchè non si permettono mai di scendere a un livello che non sia qualitativamente altissimo. Per quanto riguarda la storia, nonostante ci siano anche momenti di una noia mortale, anche io non ho potuto fare a meno di seguire incuriosita gli eventi: perchè, per quanto ci troviamo di fronte alla solita opposizione cheerleader/quarterback vs sfigati vari, ancora non mi è chiaro come andrà a finire la vicenda (mi mancano tre quattro puntate). E io in genere sono bravissima a capire prima come andrà a finire.

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