Gorbaciof, Stefano Incerti, 2010

Gorbaciof si chiama Marino Pacileo, e fa il contabile al carcere. Un ottimo lavoro per chi, come lui, ha il vizio del gioco. Ogni tanto, infatti, Gorbaciof prende in prestito qualche banconota dalla cassaforte dell’istituto di pena: in prestito, eh, nel senso che poi rimette tutto a posto. Ma le voci tra i colleghi iniziano a girare, e lui ha un cedimento verso una ragazza cinese nel cui ristorante si gioca a poker. Le cose, dopo poco, collassano.

Un trama tanto essenziale quanto classica, per il nuovo film di Stefano Incerti (L’uomo di vetro) scritto insieme a Diego Da Silva, sceneggiatore e scrittore napoletano (suo il copione del bellissimo Certi bambini, dei fratelli Frazzi). Su questa trama è innestato il corpo e il volto di Servillo: un attore eccezionale, lo sappiamo, che in questo film non dice più di cinquanta parole, e non prima di quindici minuti dall’inizio. Ambientazione nella Napoli meno nota e meno pittoresca: la periferia di una grande città, una qualsiasi, con i suoi affari, il suo traffico, il suo sottobosco malavitoso, i suoi immigrati. E’ proprio di una giovane ragazza cinese che si infatua Gorbaciof, smettendo per qualche minuto la sua aria di continua supponenza, costruita da Servillo con sopracciglia alzate e passo spedito. E poi?

E poi basta, questo è il problema. Il film inizia bene, seguendo questo bizarro personaggio con voglia rossa sulla fronte, camicia aperta bordeaux e giacca grigia, che non dice niente, pare abbia sempre fretta. Il sonoro è molto buono, con un’attenzione maniacale ai rumori, soprattutto a quelli dei soldi che vengono contati, messi in mazzette (o in tasca), infilati in crepitanti buste, ma non sono mai nuovi e lisci. Tutto è usurato: i palazzi, le banconote, gli uffici. Ma una volta che il cosiddetto set-up è assodato, il film continua a fare forza su questi tratti e sulle spalle larghe di Servillo. Per quanto infatti sia un grande attore, il testo su cui gioca la sua interpretazione è fondamentale: gli sviluppi dello script, però, rimangono banali, prevedibili, fino al finale che davvero non è degno di un regista come Incerti e di uno scrittore come Da Silva. Insomma, dopo l’entusiasmo dei primi venti minuti, si arranca per un’ora: un grande come Servillo non basta. Il rischio è che non solo Toni Servillo sia Gorbaciof, ma anche Gorbaciof.

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One Comment

  1. Pippi
    Posted 25 ottobre 2010 at 12:47 | Permalink | Rispondi

    Visto ieri in compagnia, anche a noi ha lasciato un po’ perplessi. A parte il parrucchino orrendo di TS, un po’ troppe faccette ed un finale banale. Eppure ne parlavano come di un capolavoro!

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