Il Nostro Viaggio nel Cinema Italiano: Senza Filtro, Mimmo Raimondi, 2011

Trama: Nico (Alessandro Aleotti, aka J-Ax) è un giovane della periferia milanese. Durante il giorno lavora pulendo un night club del centro gestito da un mezzo mafiosetto cocainomane (Paolo Sassanelli) , mentre la sera si diverte al Machete – un locale con gli amici di sempre. Ma anche se sembrano tutti frizzi e lazzi, l’aria è pesante. Nico e i suoi amici hanno il destino segnato: loro sono i ragazzi delle case popolari, quelli costretti a fare i conti con la piccola malavita, con la droga, con una famiglia disagiata. La sua vecchia compagnia, quella che indossava il medaglione con le due lettere SF, sta perdendo i pezzi: Mosè è passato all’eroina, Manu (Luciano Federico) è evidentemente troppo affascinato dalla vita di strada. Questa progressiva perdita d’innocenza rende sempre più duro il cuore di Nico che un tempo, grazie al rap, sognava in grande. Oggi invece si limita a sopravvivere e a tentare di tenere distanti i suoi amici dai guai. Nel frattempo in città è arrivata sua sorella, la Betty (Chiara de Bonis), che sta facendo l’università a Roma. La ragazza, di nascosto dal gelosissimo fratello, comincia a frequentare Ray (Vito Perrini, Dj Jad)  un silenzioso e misterioso Dj. Forse i destini dei due sono fatti per incontrarsi…

Giudizio Sbrigativo: Senza Filtro è noioso. La pecca maggiore del film è quella di non saper prendere una direzione. Le varie storie, le trame e le sottotrame, si incrociano senza mai lasciare il segno o appassionare. Sembra sempre che manchi un pezzo per comprendere il quadro generale e la cosa che non aiuta ad affezionarsi ai protagonisti. Sensazione per altro acuita da uno stile registico goffo e insicuro.

Perché lo abbiamo visto: In gioventù, nel 1993, ho consumato la cassetta di Strade di Città degli Articolo 31. E già questa mi sembra una buona ragione. E poi perché Senza Filtro è una di quelle classiche operazioni cinematografiche folli, “molto italiane”. Sfortunatamente si è tentato di cavalcare un’onda con qualche anno di troppo di ritardo (nel 2001 il rap italiano “mainstream” era già diventato una pagliacciata) e le cose non sono andate nel verso giusto. Dico “sfortunatamente”, perché comunque bisogna tenere presenti due cose. La prima è che gli Articolo 31 in quegli anni erano enormi e sono riusciti a far diventare popolare (pop, nel senso che passava su Radio Dj) il rap e (un’infarinatura di) cultura hip hop. Poi si può storcere la bocca e fare i fighetti, ma se non fosse stato per Tocca Qui (la canzone col doppio senso del pennello), difficilmente i Sangue Misto o i Colle der Fomento sarebbero passati per canali nazionali. In secondo luogo, perché l’immaginario iniziale degli Articolo 31 aveva a che fare con una “vita di strada” che, per il target per cui è stato pensato il film, era molto reale e tangibile. Il loro slang, le loro azioni, i giretti di droga, le piazze con i booster truccati, esistevano e facevano parte della vita di tutti i giorni di molte persone che li ascoltavano. Tutto questo, immagino causa braccino di chi ha messo i soldi, è arrivato molto mediato alla prova cinematografica. Poteva essere una cosa, qualcosa. Non lo è stato.

Fulmine di Pegasus (aka triplo dolly carpiato con avvitamento aka la scena ricca aka buttiamo due soldi su questa sequenza che facciamo il botto aka “la mia arte si esprime nella visione”): A Raimondi piaceva molto fare dei carrelli circolari. Ce n’è uno particolarmente insistito girato di notte in piazza del Duomo di notte con un grandangolo molto spinto. In realtà non penso c’abbiano speso molto (i soldi saranno andati nelle sequenze girate al Machete, tra comparse, luci e altro), ma si fa notare come guizzo registico. Poi diventa troppo lungo e rovina l’effetto, ma ha una sua iniziale potenza. Ah, no! A un certo punto c’è una specie di omaggio al famnoso piano sequenza di Quei Bravi Ragazzi! Me lo stavo dimenticando. L’ingresso di Sassanelli nel suo night in soggettiva piano sequenza. Sfortunatamente oltre al classico audio in presa diretta italianissimo dove sembra che tutti parlino all’interno del tunnel del vento di Maranello dove testano la Ferrari, i movimenti e la fludità della macchina da presa non sono quelli sperati.

Momento Centovetrine (alias la scena povera alias hai speso i soldi per il triplo dolly, adesso quest’altra la fai con un totale di 3′ e la illumini con la luce di emergenza Beghelli, e il fonico oggi non viene perché aveva un torneo di karate): Nico ha un nonno simpatico che sta in ospedale. Il giovane lo va a trovare, lo fa ridere, gli fa fumare le canne e lo spinge fortissimo sulla sedia a rotelle. Ma questa esuberanza viene subito placata dall’incontro tra Nico e il padre (Cochi Ponzoni. Con la amichevole partecipazione di.). Ecco, tutta questa sequenza è molto brutta.

Dai, dai, dai che la giriamo (alias la scena in cui il film sembra decollare): Direi mai. La frammentarietà, come già detto, del racconto non aiuta. Personalmente c’ho sperato un po’ nel momento in cui si capisce che prima o poi una pistola  comparirà, ma era una speranza deboluccia.

Enchanted Bunny (alias la scena in cui il film si suicida): A Nico rubano il “cazzillo”, ovvero il suo motorino. Con i suoi due amici vagano per Milano per tentare di recuperare il mezzo. Trovano i due ladri al Muretto (luogo storico in Corso Vittorio Emanuele II di skaters e breakers milanesi). Qui Nico, Manu e l’amico Ninja meditando l’attacco. Manu, sotto l’effetto della droga, sogna di agire come il suo idolo: Ken il Guerriero. Uff, che robina. Altri momenti particolarmente bassi sono i momenti introspettivi di Nico: vedute di Milano ed immagini evocative con la sue voce over che spiega con parole semplici il perché di tanto disagio.

Tarallucci e vino (alias c’è un conflitto? che cos’è il conflitto alias l’altro umiliato in sottotesto): Dopo aver recuperato il motorino, Nico e Manu si accorgono che quello non è il “cazzillo”. In sostanza hanno aggredito due ragazzi rubandogli lo scooter. Sulla strada di casa, mentre Manu tenta di chiudere la questione con un: “evabbeh, oggi a me, domani a te”. Nico si incazza molto ed esclama: “Cazzo di società dimmerda: uno si distrae un attimo e diventa un rapinatore!”. Nico e i suoi amici sono degli incompresi, dei vinti. I loro tentativi di uscire dalla situazione di partenza, sono tutti frustrati da elementi esterni più forti di loro. I ricchi li vedono come dei poveracci, i balordi li vedono come pedine da utilizzare a loro piacimento, i genitori e i vecchi li vedono come degli scapestrati tutti tatuaggetti e spinelli. Per loro non c’è posto da nessuna parte.

La società si prende le sue colpe?: La società, fredda come la città di Milano, è cieca di fronte alle sofferenze dei protagonisti. La soluzione è andare via, dall’altra parte del mondo.

Indice di in-vaccabilità (alias quanto è riconducibile a: “è di destra o di sinistra?”): Nullo. Si sta coi deboli ma questo non porta nessuna considerazione di stampo politico.

Indice “Montale e i suoi limoni (alias sfoggio di high culture a caso): Nessuna frase rubata a qualche libro generazionale o citazione esplicita (se escludiamo quella già citata al film di Scorsese). Stranamente anche poche strizzatine d’occhio alla cultura Hip Hop istituzionale americana. Tutto si concentra su una carrellata di ospiti della “scena”. C’è ovviamente Franco Godi, musicista italiano poi produttore degli Articolo 31. Ci sono i Gemelli DiVersi e Space One (a cui è affidato il lato comico). C’è una colonna sonora (senza ritegno) con 11 pezzi degli Articolo 31, 5 dei Gemelli DiVersi, 4 di Space One e 3 dei Pooglia Tribe. Tutte queste canzoni, fatta eccezione per l’ultima, non sono mai giustificate narrativamente ma servono solo da sottofondo. Il featuring più chiacchierato all’epoca fuquello di Albertino di Radio Dj, che con Venerdì Rappa prima e One-Two One-Two poi ha portato il rap italiano nelle nostre radio, nella parte dello spacciatore nervosetto Duca Conte.

Indice di Tarantinabilità: (alias c’è qualcosa che tra vent’anni ci sembrerà troppo avanti?) No. Trattasi di film, come detto prima, nato vecchio.

Maggio 2007 (alias segnali di calendario possibile alias tette laterali): Al minuto 41 Nico e Betty si incontrano nel bagno di casa. La sorella, la bella Chiara de Bonis, si mette il reggiseno e si vede mezza tetta. In tutto parliamo forse di un secondo e mezzo.

Ce lo meritiamo?: Ripeto: ce lo potevamo meritare cinque o sei anni prima. Nel 2001, no.

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